Ieri sera, guardando la cover di The Witcher 3, mi sono accorto che è davvero brutta. C’è l’immagine di Geralt piazzata su uno sfondo bianco e stop. Banale, scontata, poco ispirata. Pure un dilettante saprebbe farla meglio e mi stupisco che un team così attento ai dettagli come Cd Project sia caduto su un elemento così importante. Poi faccio mente locale e mi ricordo che è un bel pezzo che non vedo cover ludiche decenti, fatta salva qualche sporadica eccezione. Vero, siamo in tempi in cui dominano Steam e il digital delivery, ma, diamine, le cover sono importanti! (da pronunciare invasati alla Nanni Moretti)

Attenzione, non parliamo nostalgicamente di retrogaming, questa è Arte. Anzi, forse le cover ludiche del passato sono state davvero uno dei pochi momenti in cui “arte e videogiochi” si sono sovrapposti. Tant’è che oggi in molti cercano, più o meno giustamente, di monetizzare quelle che per noi, una volta, erano semplici illustrazioni, cui non prestavamo nemmeno troppa attenzione visto che quello che ci interessava stava dentro la scatola.

La storia ci dice che le cover nipponiche sono sempre state le migliori e anche oggi i titoli del Sol Levante possono contare spesso su boxart splendidi. Eppure, all’alba del videogioco, quando il Giappone era a noi sconosciuto, la Terra Promessa erano gli States:il nostro percorso ludo-artistico inizia proprio con un viaggio tra le cover dell’Electronic Arts che, un po’ come Activision, agli inizi degli anni ’80 era una compagnia totalmente diversa da oggi e, bisogna ammetterlo, molto più “illuminata”.

Siccome a quei tempi non esisteva un formato unico per le scatole dei videogiochi, ogni producer si faceva il suo: EA scelse il formato “album” quadrato, proprio come quello dei 33 giri in vinile, così c’era più spazio per far risaltare le illustrazioni o le immagini scelte a corredo. Ottima scelta, dico io. Per il resto, giudicate voi.

Murder on the Zinderneuf, 1983: Layton prima di Layton…chi sarà l’assassino sul dirigibile?

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The Seven Cities of Gold, 1984: Strategico/gestionale che vi mette in condizione di esplorare le Americhe al tempo dell’Impero Spagnolo. Rendetevi conto: uno andava a comprarlo e si portava a casa un tomo di storia.

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Mike Edwards’ Realm of Impossibility, 1983: un action adventure ambientato in labirinti Escheriani.

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Pinball Construction Set, 1983: immagine a corredo di un “construction set“, che ai tempi andavano di moda, o possibile cover per un disco dei Kraftwerk? Il dilemma persiste.

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Lords of Conquest, 1986: un eccezionale strategico, titolo più venduto dell’anno per EA (altro che Fifa…)

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Legacy of the Ancients, 1987: un ottimo Rpg, caratterizzato da un bizzarro doppio sistema di password per evitare di essere piratato (beh, almeno ci provavano…)

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Archon II: Adept, 1984: come il primo (che per noi sarà l’ultimo), ma con più roba. E’ l’unico sequel diretto di un titolo EA negli anni ’80, a pensarci oggi vien da sorridere.

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Heart of Africa, 1985: adventure game che porta il giocatore ad esplorare tombe egizie nel 19esimo secolo…

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M.U.L.E., 1984: uno dei più grandi titoli multiplayer della storia dei videogiochi, lascito perenne di Danielle Bunten Berry, scomparsa prematuramente alla fine degli anni ’90. Ma la leggenda vive!

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Amnesia, 1986: uno dei primi tentativi di realizzare una fiction interattiva, quando David Cage era ancora un bimbo (non è dato sapere se minkia o no).

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Adventure Construction Set, 1985: come si diceva, i “construction set” piacevano parecchio negli anni ’80 (il più celebre era il Seuck). Direi che questa cover è l’emblema degli anni ’80: poca potenza computazionale a disposizione ma fantasia sfrenata.

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Music Construction Set, 1984: Si diceva? E c’era pure il Racing Construction Set. Questo arriva 25 anni prima di Wii Music. Drag & drop e voilà la “melodia” è fatta.

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Skyfox, 1985: Metà action, metà simulazione di volo, 100% ottimo gioco, tant’è che vendette sfracelli su ogni piattaforma, in particolare quelle Commodore. Boxart meraviglioso nella sua fumettosità vecchio stile.

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Deathlord, 1987: classico RPG fantasy, ma cover troppo troppo troppo Metal.

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Wasteland, 1988: l’ottimo sequel si è fatto attendere parecchio ed è da poco disponibile anche per le console “next gen”, ma l’originale resta indimenticabile.

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Hard Hat Mack, 1983: un platform game, letteralmente.

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Mail Order Monsters, 1985: ottieni mostri virtuali, armali e falli combattere tra di loro. Assomiglia vagamente a…già, ai tempi EA precorreva…i tempi!

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Archon: The Light and the Dark, 1983: “last but not least”, il primo gioco EA, una versione “alternativa” (molto alternativa) degli scacchi che chiude degnamente la prima puntata di questo speciale.

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La foto usata per la cover è stata gentilmente fornita da http://retro-video-gaming.com/



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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